Secondo la Raccomandazione n.8 del 2006 del Consiglio d’Europa, “la vittimizzazione secondaria significa vittimizzazione che non si verifica come diretta conseguenza dell’atto criminale, ma attraverso la risposta di istituzioni e individui alla vittima”. Con particolare riferimento a quella relativa ai procedimenti giurisdizionali di separazione, affidamento e di limitazione e decadenza dalla responsabilità genitoriale, la vittimizzazione secondaria si realizza quando le stesse autorità chiamate a reprimere il fenomeno della violenza, non riconoscendolo o sottovalutandolo, non adottano nei confronti della vittima le necessarie tutele per proteggerla da possibili condizionamenti e reiterazione della violenza.
Prendendo le mosse da tali definizioni, la Commissione Parlamentare di inchiesta sul femminicidio presieduta dalla Sen.Valeria Valente (sono onorata di fare parte del tavolo di lavoro informale proprio su queste tematiche) il 13 maggio scorso al Senato ha presentato la relazione sulla vittimizzazione secondaria delle donne che subiscono violenza e dei loro figli nei procedimenti che disciplinano l’affidamento e la responsabilità genitoriale. All’evento sono intervenuti anche la Ministra Marta Cartabia e il Presidente della Corte Costituzionale Giuliano Amato.
Dati alla mano, la Commissione ha ricostruito il percorso della violenza contro le donne e i minori nelle aule dei tribunali, anche attraverso i pregiudizi e gli stereotipi di cui sono vittime.L’indagine svolta tra il 2020 e il 2021 ha riguardato sia i procedimenti di separazione giudiziale di coppie con figli pendenti nei Tribunali civili, che i procedimenti sulla responsabilità genitoriale presso i Tribunali per i minorenni.
Per quanto riguarda i procedimenti civili di separazione giudiziale con affidamento di figli minori, è stato individuato un campione statistico di 569 fascicoli, rappresentativi dei 2089 iscritti al ruolo nel trimestre marzo-maggio 2017. Per quanto riguarda i procedimenti cosiddetti “de responsabilitate”, in cui i Tribunali per i minorenni decidono sull’eventuale decadimento della potestà dei genitori e sull’affidamento dei figli, il campione statistico ha compreso 620 fascicoli, rappresentativi dei 1452 iscritti al ruolo nel mese di marzo 2017. La Commissione ha inoltre esaminato altri fascicoli acquisiti agli atti per un totale di 1411, a cui si aggiungono quelli relativi a 36 “casi emblematici” di vittimizzazione (in cui si riscontrano anche provvedimenti di sottrazione di figli alle madri con la forza pubblica) sui quali è stata svolta un’indagine qualitativa. Ciò che è emerso è un quadro chiaro di violenza negata perché non riconosciuta da avvocati, magistrati, servizi sociali, consulenti tecnici e quindi di vittimizzazione secondaria delle donne che la subiscono e dei loro figli da parte delle istituzioni, con esiti anche gravi quali l’allontanamento dei figli dalle madri che hanno denunciato e/o subito violenza e/o l’affidamento dei figli ai padri maltrattanti.
Ciò in violazione della Convenzione di Istanbul che all’art. 31 stabilisce: “al momento di determinare i diritti di custodia e di visita dei figli, devono essere presi in considerazione gli episodi di violenza che rientrano nel campo di applicazione della Convenzione”.Più nel dettaglio, dei 2089 procedimenti di separazione giudiziale con figli minori iscritti al ruolo nel trimestre marzo-maggio 2017, il 34,7% (pari a 724) presenta “allegazioni di violenza”, ovvero denunce, certificati o altri atti e annotazioni (da sottoporre a verifica nel corso dell’iter giudiziario) relativi a violenza fisica, psicologica o economica da parte di uno o di entrambi i genitori ai danni dell’altro genitore o della prole. Di questi, il 16,7% riporta tracce sia di violenza sia di disfunzionalità genitoriali, cioè di comportamenti negativi di un genitore nei confronti dei figli, riferiti dall’altro coniuge (e sempre da verificare nel corso del processo), che comportano il rifiuto del minore di vedere il genitore violento. Nell’86,9% dei casi si tratta di violenze lamentate dalle mogli, solo nel 5,9% dei casi dal marito e nel 7,1% dei casi da entrambi i coniugi. Nel 18,7% dei casi, la violenza riguarda anche direttamente i figli e in gran parte viene agita dai padri (13,6% contro il 4,5% delle madri).Quello che colpisce è che nel 57,3% dei casi nelle verbalizzazioni dell’udienza presidenziale sono presenti solo generici richiami…senza nessun approfondimento o richiesta in merito alle condotte di violenza domestica, anche se descritte negli atti introduttivi.
A questo si aggiunga che la ricerca ha messo in luce che i Presidenti dei Tribunali (o i giudici da loro delegati), anche in presenza di allegazioni di violenza e di notizie relative all’esistenza di procedimenti penali pendenti o definiti, nel 95,9% dei casi non hanno ritenuto di acquisire d’ufficio i relativi atti, e che, analogamente, nel 96% dei casi non hanno ritenuto di acquisire d’ufficio atti dei procedimenti minorili pendenti o definiti. Analizzando i soli casi in cui nell’udienza presidenziale vi era presenza o notizia di atti del penale (il 41,7% dei casi), nel 90,2% di essi tali atti non sono stati acquisiti d’ufficio.In più la violenza non viene nominata o viene derubricata a conflitto familiare. Anche in presenza di documenti o atti di procedimenti penali da cui emergano presumibili violenze domestiche, nell’ordinanza presidenziale nel 57,9% dei casi non si fa riferimento né a violenza né a conflitto, solo nel 21,1% dei casi si fa riferimento alla violenza e nel 18,6% dei casi ci si riferisce al conflitto in famiglia, in un’evidente confusione lessicale con importanti ricadute giuridiche. E le bambine e i bambini soggetti dell’affido?Nel 69,2% dei casi non sono stati ascoltati, e quando l’ascolto avviene (30,8% dei casi), esso viene delegato nell’85,4% dei casi al tecnico nominato e ai servizi sociali. Solo nel 7,8% dei casi il giudice ha parlato con i bambini.Analoga sorte per i procedimenti pendenti avanti al Tribunale per i Minorenni esaminati.Nel 34,1% dei casi nei procedimenti sulla responsabilità genitoriale pendenti nei Tribunali per i minorenni sono presenti allegazioni di violenza (atti, denunce, annotazioni) e/o di disfunzionalità genitoriale che portano al rifiuto del figlio di vedere il genitore violento.Nel 28,8% dei giudizi, la violenza riguarda direttamente il minore e viene esercitata nell’85,1% dei casi dal padre, nell’8,6% dei casi dalla madre e nel 6,3% da entrambi i genitori.
Cosa succede ai bambini e ai ragazzi oggetto di provvedimento sulla potestà genitoriale nei casi di violenza in famiglia?
Numerosi sono gli affidi ai servizi sociali, riscontrati nel 55,2% dei casi (175 casi su 317), misura che appare particolarmente punitiva per i genitori e fortemente rivittimizzante per le madri che hanno subito maltrattamenti.Il mancato accertamento delle condotte violente e la conseguente mancata valutazione di tali comportamenti nella adozione di provvedimenti di affidamento dei figli, ha come conseguenza l’emanazione di provvedimenti stereotipati che dispongono l’affidamento condiviso del minore ad entrambi i genitori, senza distinguere tra il genitore violento e la genitrice vittima di violenza. Con conseguente imposizione alla madre, per provvedimento della stessa autorità giudiziaria, di assumere decisioni – peraltro sovente ostacolate dal genitore violento, con l’ulteriore pregiudizio per il minore che spesso rimane privo dei necessari interventi di sostegno – per i figli insieme con l’autore della violenza, con il rischio di essere di nuovo esposta ad aggressioni, a pressioni o a violenti condizionamenti.Ulteriore forma di vittimizzazione secondaria secondo l’indagine è rinvenibile nell’adozione di provvedimenti standardizzati, per la disciplina del diritto di visita del padre, quando i figli minori affidati congiuntamente ad entrambi i genitori siano collocati in via prevalente presso la madre; il mancato riconoscimento della violenza, o la sottovalutazione del fenomeno hanno come conseguenze l’omessa adozione di tutele per i figli e per le madri vittime di violenza, con il rischio che comportamenti violenti si realizzino di nuovo o in danno dei minori, nei periodi di frequentazione, o in danno della madre, nel momento in cui il padre prelevi o riceva i minori per l’esercizio del diritto di visita.
Altro tema fortemente criticato dall’indagine riguarda le consulenze tecniche di ufficio disposte nei casi caratterizzati da violenza domestica (al di là e oltre i riferimenti arbitrari negli elaborati a presunte sindromi non riconosciute dal punto di vista scientifico quali la PAS).
Il riferimento metodologico dei CTU di partenza è il principio della bigenitorialità, come fulcro per la valutazione della competenza genitoriale delle parti. Nel 78,3% delle consulenze tecniche d’ufficio esaminate non vi è “nessuna considerazione della violenza per definire una metodologia, per contro nel 43,9% dei casi vengono effettuati tentativi di conciliazione/mediazione tra i genitori e tra genitori e figli” (in contrasto con quanto stabilito dall’art. 48 della Convenzione di Istambul).L’indagine si conclude con un monito preciso che non possiamo che fare nostro: “è indispensabile riservare una specifica attenzione ai procedimenti civili e minorili che presentino allegazioni di violenza affinché il giudice, prima di adottare provvedimenti di affidamento dei minori o che limitino la responsabilità genitoriale, accerti la sussistenza o meno della violenza domestica”.Come la più volte citata Convenzione di Istambul insegna infatti, il diritto alla “bigenitorialità” (da tutelare e preservare) non può essere considerato superiore a quello del minore di vivere in sicurezza e benessere. La rivittimizzazione nelle aule di giustizia va dunque combattuta nel nome del migliore interesse del minore, attraverso un preciso e coraggioso cambio di prospettiva (che riguardi tutti gli operatori del settore: magistrati, servizi, consulenti e avvocati) nella direzione della effettiva e concreta tutela delle vittime di violenza domestica.