Usciamo dall’equivoco: il contrasto al ddl Pillon e ai ddl collegati non si può risolvere in una guerra tra uomini e donne, tra separati e separate, tra avvocati che difendono i padri e avvocati che difendono le madri, tra associazioni dei papà separati e centri antiviolenza. La lettura in questi termini delle varie iniziative, singole, di massa, sui social, sui giornali, nelle sedi istituzionali e da ultimo nelle piazze è fuorviante e strumentale. Strumentale e a favore di chi il progetto lo vuole portare a termine, vuole azzerare il dialogo e mettere il bavaglio alla disapprovazione. Ridurre dunque le voci che si sono levate a questa semplicistica e sterile contesa è un insulto all’intelligenza di ognuno di noi e di tutti coloro che da tempo si battono per i principi di civiltà, indossano la toga per difendere i diritti dei propri assistiti e hanno ben in mente il monito “the best interest of the child”.
Le critiche sollevate infatti sono state molte, tutte però accumunate dall’esigenza di mettere al primo posto i bambini e non pregiudicare la parte più vulnerabile nella controversia. Basti un esempio. Nel dossier di accompagnamento ai ddl si legge a pag. 21: il rimedio alla sindrome da alienazione genitoriale (o Pas) “consisterebbe nel resettare il bambino dalla manipolazione subita con l’allontanamento dal genitore alienante; ciò significa che in caso di perdurante rifiuto nei confronti dell’altro genitore, il bambino dovrebbe essere collocato provvisoriamente in una comunità etero-familiare”.
Il principio viene ripreso dagli artt. 17 e 18 del progetto sui quali non voglio tornare in quanto ampiamente commentati. Così come non voglio tornare sulle molte altre disposizioni oggetto di critica. Ciò che è invece opportuno ribadire è come non possa avere ingresso in uno Stato di Diritto un provvedimento legislativo che preveda che i bambini vengano “resettati” (da chi è come esattamente non è dato sapere…) in una “apposita struttura specializzata” (cfr. Art. 18). Il progetto va dunque ritirato per lo spirito che lo anima, i principi che lo ispirano e soprattutto gli strumenti (coercitivi, punitivi e di “riprogrammazione” delle persone) che introduce.
Si resettano i computer (da to reset, azzerare), non gli esseri umani. Ma se vogliamo guardare avanti ed essere propositivi una cosa va detta. Il progetto nella sua interezza ha scatenato un sano confronto, ha permesso a molti cittadini di conoscere aspetti della vita familiare poco noti, ha portato all’attenzione pubblica temi importanti e forti su cui riflettere. Riflettere per costruire, non per resettare secondo schemi predisposti le persone. Gli esseri umani al centro. Sempre e comunque. La tutela dei diritti prima di qualsiasi altra iniziativa. E i bambini capifila di qualsiasi proposta.
Silvia Belloni, avvocata penalista